Focus n. 6 “Le resistenze al cambiamento nelle PA Italiane”
“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare.”
Il famoso statista(e stratega), che fu Primo Ministro del Regno Unito dal 1940 al 1945, Winston Churchill ci lasciò in eredità questa frase sul cambiamento: l’evoluzione come un’esigenza avvertita non solo dalle organizzazioni complesse ma anche da qualunque essere umano.
Da tanti anni per le Pubbliche Amministrazioni Italiane il tema del cambiamento è diventato cruciale.
Ma di che tipo di cambiamento si parla?
Il cambiamento, infatti, può essere analizzato e considerato sotto una miriade di punti di vista, come ad esempio quello organizzativo, piuttosto che culturale, senza dimenticare la trasformazione, iniziata sulla carta da anni, che vorrebbe far si che le Pubbliche Amministrazioni potessero avvicinarsi sempre più ad un modello aziendale.
I cambiamenti possono essere di svariata natura, ma, in questo focus, l’attenzione si focalizzerà sulle resistenze al cambiamento nelle Pubbliche Amministrazioni Italiane.
Innanzitutto sarebbe necessario parlare, più che di cambiamento, di innovazione, dove, per quest’ultima intendiamo “qualsiasi cambiamento che porti ad un miglioramento”.
Se infatti, metaforicamente parlando, la resistenza al cambiamento delle PA Italiane fosse considerata come una malattia, quali sarebbero le cause e le eventuali cure?
Preliminarmente bisogna affermare che le cause si sono autoalimentate vicendevolmente, creando così dei circuiti viziosi, in uno scenario in continua evoluzione(evidentemente dal punto di vista esogeno, date appunto le resistenze di cui trattiamo); per questo, tra le cause della “malattia”, è necessario annoverare:
1. La retribuzione sicura;
2. I premi a cascata;
3. La sicurezza lavorativa;
4. La presunta mancanza di responsabilità;
5. La routine;
6. L’età media dei dipendenti.
Per ogni malattia, tuttavia, è sempre presente almeno una cura. Conseguentemente su quali leve bisognerebbe agire per stimolare l’innovazione all’interno degli Enti Territoriali Italiani?
Nell’analisi compiuta dal Team Onda, sono emerse tre cure:
a) La Normativa (che potrebbe utilizzare i propri effetti curativi sui punti 1, 2, 3 e 4 della cause della “malattia”);
b) La Motivazione Personale: quell’onore che spingerebbe le singole persone a ritenersi orgogliose di lavorare per il proprio Comune, per la propria Regione, per il proprio Stato (questa leva potrebbe agire sulle cause 4,5 e 6 della “malattia");
c) La Volontà Gerarchico-Politica (leva azionabile sulle cause 2, 3, 4, 5).
È particolarmente rilevante il punto c: quella volontà di sviluppare un’identità all’interno del proprio ente, ossia valorizzare la propria specificità e il proprio ruolo nel territorio di competenza. Proprio questo volere, dovrebbe dare l’avvio al processo vero e proprio di trasformazione interna.
Un processo scandito, sulla carta, in 4 fasi:
I. La Percezione della necessità di cambiare;
II. L’Analisi Interna della realtà organizzativa;
III. La Progettazione del Cambiamento;
IV. L’Implementazione del Processo di Cambiamento.
Infine è necessario considerare il fatto che se, questo processo di cambiamento si intraprendesse sul singolo non si riuscirebbe a raggiungere il risultato desiderato.
Bisogna prevedere di programmare un approccio sinergico che riesca a trasformare l’ente in maniera integrata nell’insieme di idee condivise, di valori e nella cultura organizzativa: agire sul gruppo e non esclusivamente sul singolo.
Del resto, parafrasando Johann Wolfgang von Goethe “dobbiamo sempre provare a cambiare, a rinnovarci, altrimenti diventiamo solo più duri”…e non creiamo valore per i nostri cittadini.
Jacopo Deidda Gagliardo
Project Manager @ Onda Srl